giovedì 11 febbraio 2010

L'uomo che verrà

L'uomo che verrà è già arrivato ed un bimbo, ormai adulto, a ragione, piange.


Il film di Diritti, che avevo già avuto modo di apprezzare ne "Il vento fa il suo giro", è un'opera necessaria e urgente. Ci ricorda da dove veniamo, che il nostro mondo non nasce spontaneamente dal nulla, che (per dirla con Majakovskji) l'avvenire non è venuto da solo. E, in parte, sarebbe storia che si potrebbe apprendere sui libri. Ma lo sguardo che il regista (nonché sceneggiatore) propone non è una veduta aerea, da cui si osservano fazioni opposte che si fronteggiano a suon di artiglieria, tra le quali è fin troppo facile schierarsi; lo sguardo che Diritti propone è quello di una bambina, è uno sguardo ravvicinato, che vede e non capisce. Dagli occhi di quella bambina si racconta, senza rinunciare alle ombre, una vicenda della resistenza partigiana conclusasi tragicamente; ma si racconta anche un mondo ormai scomparso, che a malapena trova qualche piccolo aggancio, nella mia mente di uomo alle soglie dei quaranta, tra i ricordi della mia infanzia. E la ricostruzione di quel mondo contadino - fatto di miseria e duro trarre dalla terra quanto necessita per vivere, ma anche di saggezza, coraggio, e una ricca umanità fatta di rituali e vera solidarietà - la ricostruzione di quel mondo, dicevo, si spinge alla fine sottigliezza dei dettagli. Solo uno sguardo attento può essere in grado di raccontare così bene una storia, un mondo. Certe inquadrature sono così pregne, i colori così reali, che di una stanza da letto sembra di sentire gli odori.
Non so: la storia raccontata è talmente drammatica che da un certo punto in poi vorresti alzarti, andare a fermare la pellicola, per ripararti dal dolore del tragico epilogo, ma.
Ma io ho provato nostalgia per quel mondo scomparso: quel mondo, solo raccontato, mi è parso più vero di tanto nostro condurre vicende sfilacciate - spesso virtuali - che sanno più di disordinato intrattenimento che di vita reale.


Il bimbo, divenuto adulto, piange. La libertà ereditata, costata sudore e sangue, abbandonata incurantemente in un angolo della stanza, se l'è fatta sottrarre durante il sonno. Finito il dovuto ma tardivo lamento, senza memoria, toccherà capire tutto da capo, rimboccarsi le maniche, chiamare compagni, riscoprire valori, andarsi a riprendere il bene più prezioso.

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