domenica 28 febbraio 2010

Odisseo


"L'impulso decide lo scopo, la prudenza il tempo" Luigi Zoja

giovedì 11 febbraio 2010

L'uomo che verrà

L'uomo che verrà è già arrivato ed un bimbo, ormai adulto, a ragione, piange.


Il film di Diritti, che avevo già avuto modo di apprezzare ne "Il vento fa il suo giro", è un'opera necessaria e urgente. Ci ricorda da dove veniamo, che il nostro mondo non nasce spontaneamente dal nulla, che (per dirla con Majakovskji) l'avvenire non è venuto da solo. E, in parte, sarebbe storia che si potrebbe apprendere sui libri. Ma lo sguardo che il regista (nonché sceneggiatore) propone non è una veduta aerea, da cui si osservano fazioni opposte che si fronteggiano a suon di artiglieria, tra le quali è fin troppo facile schierarsi; lo sguardo che Diritti propone è quello di una bambina, è uno sguardo ravvicinato, che vede e non capisce. Dagli occhi di quella bambina si racconta, senza rinunciare alle ombre, una vicenda della resistenza partigiana conclusasi tragicamente; ma si racconta anche un mondo ormai scomparso, che a malapena trova qualche piccolo aggancio, nella mia mente di uomo alle soglie dei quaranta, tra i ricordi della mia infanzia. E la ricostruzione di quel mondo contadino - fatto di miseria e duro trarre dalla terra quanto necessita per vivere, ma anche di saggezza, coraggio, e una ricca umanità fatta di rituali e vera solidarietà - la ricostruzione di quel mondo, dicevo, si spinge alla fine sottigliezza dei dettagli. Solo uno sguardo attento può essere in grado di raccontare così bene una storia, un mondo. Certe inquadrature sono così pregne, i colori così reali, che di una stanza da letto sembra di sentire gli odori.
Non so: la storia raccontata è talmente drammatica che da un certo punto in poi vorresti alzarti, andare a fermare la pellicola, per ripararti dal dolore del tragico epilogo, ma.
Ma io ho provato nostalgia per quel mondo scomparso: quel mondo, solo raccontato, mi è parso più vero di tanto nostro condurre vicende sfilacciate - spesso virtuali - che sanno più di disordinato intrattenimento che di vita reale.


Il bimbo, divenuto adulto, piange. La libertà ereditata, costata sudore e sangue, abbandonata incurantemente in un angolo della stanza, se l'è fatta sottrarre durante il sonno. Finito il dovuto ma tardivo lamento, senza memoria, toccherà capire tutto da capo, rimboccarsi le maniche, chiamare compagni, riscoprire valori, andarsi a riprendere il bene più prezioso.

domenica 7 febbraio 2010

Asciutta gentilezza

Claudio "operaio". Così è scritto su un compensato attaccato a un cancello in via di Poppiano. Seguono due numeri di telefono: i due numeri che mi possono salvare.
E' domenica mattina, chiamo con speranza e timore, per chiedere il favore che mi tiri fuori dalla situazione in cui mi sono cacciato - per eccesso d'orgoglio, testardaggine, fiducia nella sorte, imprudenza. Dall'altra parte Claudio risponde, quasi si scusa: se mi dai 5 minuti arrivo.


Claudio ha mani enormi, che sembrano confermare le teorie evolutive, buone per stringere, avvitare, impugnare. La mia mano sparisce nella sua quando ci presentiamo. Gli espongo il problema. Lui non fa una piega, mette in moto un cingolato, prende un cavo d'acciaio, con pochi gesti semplici ed essenziali, lo fissa al trattore e si parte alla volta della mia macchina finita in fondo ad una discesa dopo aver pattinato sul fango di una strada di campagna imbevuta dalla pioggia di giorni e giorni. Claudio parla poco, frasi brevi: le istruzioni sulla mia parte in quell'operazione che gestisce con la sicurezza di un capitano che tiene saldo il timone della sua nave. Io sono un po' impacciato con la camicina marrone e le scarpe che sono un blocco di fango. "Levati il grosso prima di salire in macchina", "frega le scarpe a questi rami che tanto poi li bruciano", "tieni il motore acceso, per lo sterzo e i freni, ma non mettere mai la marcia". Quando la macchina sta per uscire di lato, verso il fosso e un ulivo lì piantato, mi fa cenno di controsterzare, accelera con il cingolato portandosi quasi tra i rovi dalla parte opposta, ed è fatta.
In pochi minuti la macchina è tratta in salvo, con mio enorme sollievo, che già la vedevo abbandonata lì per mesi, visto che il padrone della casa lì vicino mi aveva detto, la notte prima, che bisognava aspettare mesi affinché il terreno asciugasse.
Claudio mi fa cenno di seguirlo all'officina, lascia il mezzo dove l'aveva preso, ripone il cavo, e mi porge un ferro con una punta ricurva: "usa questo per pulire le scarpe".
Io gli sono riconoscente, non so come altro ricompensarlo se non con i biglietti colorati che tengo nel portafoglio. Lo vedo che si vergogna a prenderli: "che mi vuoi dare per forza i soldi, mi bastava un caffé". So che quei biglietti separano, chiudono la questione, relegano un favore e uno scambio umano alla dimensione del rapporto commerciale, ma chissà quando ripasserò da Poppiano. Insisto, perché è giusto che si prenda una ricompensa per l'immenso favore che mi ha fatto. Claudio guarda in basso mentre prende i soldi. Ci risalutiamo con una stretta di mano, posso tornare a casa sul mio ferro con quattro ruote. Non è più quello che conta, piuttosto il fatto che non scorderò più, cercherò di conservare, il ricordo della sua asciutta gentilezza.